Non commenterò la sentenza Google, non vi parlerò quindi della condivisibilità o meno delle argomentazioni giuridiche elaborate da chi l’ha redatta, né tantomeno dei possibili scenari futuri. Molto è stato scritto, troppo sarà scritto ancora.
Tuttavia è possibile trarre dalla vicenda uno spunto di riflessione sul tema dei termini di servizio e delle informative in rete. Salvo qualche rarissimo caso, contratti, termini di servizio ed informative, si contraddistinguono per prolissità, incomprensibilità e talvolta anche scarsa riconoscibilità. Paradossalmente, nel fenomeno Internet, caratterizzato dalla velocità, dall’accessibilità e dalla facilità d’uso ritroviamo queste vere e proprie zone grigie che rappresentano, dal punto di vista dell’utente medio, un vero e proprio salto nel vuoto.
Quanti di voi hanno letto dalla prima all’ultima riga le condizioni di servizio e le informative sulla privacy prima di registrarsi in un social network ? Oppure, quanti di voi hanno mai letto integralmente le licenze d’uso di cui viene chiesta l’accettazione prima dell’acquisto di un file MP3 ovvero di un libro elettronico ? Generalmente la gratuità dei servizi ed il costo limitato dei prodotti acquistati in rete sono causa dell’abbassamento delle difese dell’utente medio che conduce ad una accettazione acritica di condizioni la cui vessatorietà ed il cui contenuto richiederebbero senz’altro una più approfondita riflessione.
Lungi da me l’idea di vedere Internet ed i servizi e prodotti ad essa associati come un problema, anzi tutt’altro. Tuttavia non si può fare a meno di osservare che l’utente medio oggi ha bisogno di tutela. Per carità, non auspico un intervento legislativo, dal quale – per un problema soprattutto di natura culturale e generazionale – non ci sarebbe da aspettarsi nulla di buono; gli istituti presenti nel nostro ordinamento giuridico sono inoltre già sufficienti a regolare ciò che accade su Internet.
Penso invece a una buona pratica nella redazione delle condizioni di servizio e delle informative che gli operatori in buona fede potrebbero introdurre. Quindi contratti ed informative sintetiche, le cui condizioni siano facilmente riconoscibili anche graficamente sia dall’utente che dalla macchina, e soprattutto uniformi.
Quando visita un sito sotto una licenza Creative Commons, anche una persona poco o per niente esperta di diritto d’autore può agevolmente comprendere, attraverso la grafica dell’icona assegnata al tipo di licenza scelta dall’autore, quali siano le condizioni d’uso dei contenuti immessi in rete; le licenze sono pubblicate nella versione sintetica e nella versione più elaborata e possono essere riconosciute dalla macchina. E dire che la materia del diritto d’autore è una delle più complicate in assoluto, senz’altro più complessa di una banale compravendita.
Ebbene, se i più importanti operatori e i fornitori di servizi cominciassero a lavorare a modelli e pratiche contrattuali eque, uniformi ed accessibili, nonché a tipologie di informative facilmente riconoscibili (anche graficamente attraverso simboli univoci) e gradate in funzione del trattamento che si intende fare dei dati personali dell’utente, fornirebbero un importante servizio ai cittadini digitali ma soprattutto a se stessi: le buone pratiche rappresentano a mio avviso il miglior deterrente contro lo spettro di interventi legislativi dannosi e liberticidi.