Il Codice della Privacy non richiede il consenso dell’interessato per il trattamento dei dati personali effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti ed infine per quello temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione artistica. Restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 L. 196/2003 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere invece trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico .
Quelli delineati dal Codice della Privacy sono i limiti generali al trattamento dei dati personali da parte del giornalista; tali limiti sono meglio precisati in concreto nel Codice deontologico.
Deve aggiungersi che ben prima dell’introduzione della legge della privacy nel nostro ordinamento diverse leggi hanno imposto divieti alla pubblicazione di alcune informazioni. Ad esempio, l’identità delle vittime di violenza sessuale, gli atti giudiziari coperti da segreto istruttorio, i nomi di persone malate di Hiv, i nomi delle donne che interrompono la gravidanza, le generalità di minori coinvolti in procedimenti giudiziari, il nome della donna che ha dato in adozione il proprio figlio dopo il parto chiedendo di non essere nominata. Questi divieti rendono la comunicazione illecita anche dal punto di vista della normativa sulla privacy, che in primo luogo impone che il giornalista non abbia violato anche altre norme di legge nel trattare un’informazione personale in applicazione del principio di legalità.
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