Lo scorso 7 dicembre il Giudice D.J. Gertner della corte del Massachusetts (U.S.A.) ha emesso un
provvedimento a definizione di una causa di violazione del
copyright iniziata dalla
Sony BMG Music Entertainment ed altri, nei confronti di Joel Tanebaum, accusato di aver scaricato e distribuito con un software per il
file sharing 30 canzoni di cui gli attori risultano titolari dei diritti. A parte il merito della causa che ha visto la difesa del resistente soccombere su tutta la linea, il provvedimento è a mio parere degno di nota nella parte in cui propone una lettura più ampia del principio del
fair use.
Il giudice nella sua motivazione sostiene infatti che (anche sulla base di altri precedenti giurisprudenziali) la ricognizione di un caso di fair use possa essere condizionata dall’impossibilità di ottenere legalmente l’opera protetta.
L’uso non autorizzato può essere ricompreso nella definizione di fair use quando ad esempio l’opera protetta non è disponibile sul mercato e quindi non è possibile acquistarne un esemplare sul mercato per scelte tecniche e/o di politica commerciale. Ruolo di grande importanza viene infatti assegnato al bilanciamento d’interessi tra la perdita teorica del titolare dei diritti ed il vantaggio della collettività che può in tal modo fruire di opere altrimenti non disponibili.
Inoltre, potrebbe rientrare nel fair use il download di un solo brano di una raccolta quando sul mercato non ne fosse possibile l’acquisto separato. Anche il download in formato digitale di un’opera già acquistata in formato analogico, potrebbe rientrare nel fair use. Lo stesso si potrebbe dire per il download a scopo di saggio dell’opera, al quale sia seguito l’acquisto oppure la cancellazione poichè non gradita.
Le argomentazioni del Giudice Gertner sono apprezzabili e propongono un diverso approccio rispetto al principio del fair use. Ciò che viene condiviso nei sistemi di file sharing non è da considerarsi come male in sè e perciò illegale a prescindere; l’indagine su tale istituto va fatta invece caso per caso e soprattutto non a senso unico, tenendo quindi conto dell’interesse generale (il quale non necessariamente coincide con quello dei detentori dei diritti di sfruttamento dell’opera) e con gli scopi delle leggi sul copyright.
Secondo Derek Bambauer questo nuovo approccio interpretativo potrebbe avere enormi effetti soprattutto nel campo delle opere cinematografiche, essendo le opere musicali ormai ampiamente disponibili per l’acquisto e la fruizione in rete in diversi formati e modalità.
What I like about this analysis is not what it says about music – music is the last war – but about movies and other copyrighted material. Right now, where can you get the movie of your choice easily, lawfully, and on-line? Um, nowhere. Maybe Netflix, for some films. But the industry has not gotten it together to offer Internet-based access to their catalog – mostly because they don’t want to change their revenue structure. If Judge Gertner is right, though, they’d better innovate in this area, because otherwise they face the possibility of file-sharers escaping copyright liability because they didn’t have lawful alternatives. That strikes me as an immensely powerful incentive to innovate and to overcome structural barriers such as inter-industry squabbling over standards. (Hello, Blu-Ray vs. HD DVD!)