Come riconoscere un caso di mobbing secondo Harald Ege

Harald Ege definisce il mobbing come una <<>> . Nella definizione di Ege sono compresi tutti gli elementi necessari alla corretta individuazione del caso di mobbing: l’ambiente lavorativo, la frequenza, la durata, il tipo di azioni, il dislivello tra gli antagonisti, l’andamento in fasi successive e l’intento persecutorio.1. L’ambiente lavorativo – La vicenda conflittuale deve essere ambientata in un contesto lavorativo. Tuttavia non è escluso che il disagio del lavoratore vittima del mobbing non possa ripercuotersi al di fuori del contesto lavorativo. Possono infatti verificarsi problemi e conflitti anche all’interno della famiglia, le cui origini devono essere cronologicamente successive ed in nesso di causalità rispetto a quelli vissuti nel contesto lavorativo.

2. La frequenza – Non rientra nel caso di mobbing la vicenda conflittuale occasionale che è invece riconducibile al fisiologico andamento dei rapporti interpersonali. Nel caso di mobbing la vittima deve essere oggetto di azioni ostili ripetute. Il parametro della frequenza deve indicare una cadenza delle azioni ostili almeno di alcune volte al mese. Rappresenta un caso particolare di mobbing quello consumato con un solo atto che produce effetti prolungati nel tempo sulla persona della vittima (cd. sasso nello stagno). Caso tipico è quello dell’impiegato che subisce un grave demansionamento ed in seguito alla dequalificazione si trova in uno stato di disagio e prostazione nei confronti dei colleghi e di estremo imbarazzo nei confronti dei soggetti esterni all’azienda che ne ricordano le precedenti mansioni superiori, magari compatendolo.

3. La durata – Il conflitto deve protrarsi per un periodo tanto lungo da poter ragionevolmente escludere la sussistenza, anziché del mobbing, di un caso di conflitto passeggero o estemporaneo. Secondo Ege il conflitto deve durare da almeno sei mesi, salvo il caso del cd. quick mobbing. Il quick mobbing si presenta attraverso azioni ostili molto frequenti, concentrate in breve tempo e dirette contro aspetti della vita privata e professionale della vittima.

4. Il tipo di azioni – Leyman ha elaborato un elenco di 45 azioni ostili, suddivise in cinque categorie: isolamento sistematico; cambiamento delle mansioni lavorative; attacchi alla reputazione; violenze e minacce di violenza. Secondo Ege le azioni subite devono appartenere ad almeno due delle cinque categorie.

5. Il dislivello degli antagonisti – Tra i due soggetti in conflitto deve esistere un chiaro e percepibile dislivello di potere che può riscontrarsi sia sul piano orizzontale (soggetti di pari grado) che su quello verticale (soggetti di posizione gerarchica differente nell’azienda). Il mobizzato non ha le stesse capacità (dialettiche, caratteriali, relazionali) dell’aggressore ed è in balia del mobber che lo pone in uno stato di costante inferiorità.

6. L’andamento secondo fasi successive – Secondo Ege si riconoscono sei fasi successive: conflitto mirato, inizio del mobbing, primi sintomi psicosomatici, errori ed abusi dell’amministrazione del personale, serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima, esclusione dal mondo del lavoro. Ai fini della valutazione, il danno da mobbing è tanto maggiore quanto più è avanzata la fase della sua evoluzione. L’effettivo inizio del mobbing si ha quando le azioni ostili non sono occasionali ma sono deliberatamente create ai danni della vittima (conflitto mirato).

7. L’intento persecutorio – Deve esserci da parte del persecutore un chiaro intento negativo nei confronti della vittima che è caratterizzato da tre fattori: lo scopo politico, l’obiettivo conflittuale e la carica emotiva. Lo scopo politico è un obiettivo a lungo termine che informa l’azione del mobber: ad esempio bloccare la carriera della vittima oppure eliminare il mobizzato dal posto di lavoro. L’obiettivo conflittuale è costituito dalle piccole azioni finalizzate al raggiungimento dello scopo politico: ad esempio rimproverare sgarbatamente la vittima, ignorarla od umiliarla. La carica emotiva conferisce la forza distruttiva necessaria al mobber ed è rappresentata ad esempio da critiche ed attacchi diretti alla persona nella sua integrità, che può tradursi nel dare del fannullone al mobizzato in senso generico (critica soggettiva) senza far riferimento a fatti specifici (critica oggettiva).

L’analisi del caso di mobbing secondo Ege deve avvenire attraverso la sottoposizione del paziente ad un questionario denominato LIPT Ege, nonché ad un colloquio specifico sulla vicenda lavorativa.

Mario Sabatino 19/12/05

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