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Per l’introduzione della discovery nell’ordinamento processuale civile italiano

Swedish Pirate
Swedish Pirate (Photo credit: Earthworm)
Un anno fa scrissi un articolo pubblicato su Medialaws sulla cross border discovery, ovvero sulla possibilità di utilizzare nel foro nazionale le prove acquisite con l’istituto della discovery statunitense.
http://www.medialaws.eu/la-cross-border-discovery-una-sentenza-della-u-s-court-of-appeals-seventh-circuit/
Nel diritto processuale degli Stati Uniti la discovery è una pre-trial phase nel corso della quale è possibile ottenere una prova proveniente dalla controparte attraverso la richiesta di risposte ad un interrogatorio, la richiesta di produzione di documenti ed altro.
Secondo la legge degli Stati Uniti la discovery può riguardare qualsiasi elemento che possa essere considerato una prova ammissibile nel processo. Pertanto la sua accezione risulta essere più ampia di quella di prova ammissibile in senso proprio poiché comprende anche la ricerca di quegli elementi che possano essere successivamente considerati rilevanti.
La discoveryriguarda ovviamente anche tutti i dati gestiti elettronicamente (documenti, email ecc.) ed ha un impatto notevole sulla successiva eventuale fase processuale. Accade spessissimo infatti che le vertenze siano transatte dopo questa fase preliminare al processo in cui le parti sono costrette a scoprire le carte.
Le conseguenze della mancata produzione di documenti in sede di discovery,  ed ancor peggio, della non corretta o deficitaria conservazione dei documenti elettronici, sono gravissime e possono compromettere la posizione processuale della parte.
L’introduzione nel nostro ordinamento della discovery, conosciuta nel Regno Unito come disclosure, sarebbe a mio avviso dirompente. Le parti avrebbero la possibilità di giocare a carte completamente scoperte prima dell’inizio della fase processuale propriamente detta e così valutare le reali possibilità di successo della causa con un immaginabile effetto deflattivo sul carico dei tribunali civili.
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